Elezioni 2018 – Cosa si può fare per far crescere il ruolo dell’innovazione nell’agenda politica? Proviamo a lavorare per creare una volontà politica per “usare” l’innovazione che già c’è e che ha bisogno della politica per portare il paese verso una cultura digitale e verso la cultura del dato
Pubblicato il 22 Gen 2018
Non è e non deve essere impossibile portare la politica più vicino alle singole voci dell’innovazione e dell’innovazione digitale in particolare. A fronte di una campagna elettorale scandita da frequenti richiami alla necessità di dare risposte concrete ai cittadini e alle imprese e a fronte di una liturgia quotidiana fatta di promesse di tagli a tasse, balzelli o di ardite revisioni del sistema previdenziale, l’attenzione all’innovazione fatica a trovare il suo spazio, le sue citazioni e i suoi richiami. Spesso però questa attenzione è condizionata da un approccio poco concreto e da spericolati voli pindarici. Vogliamo provare così, in nome della concretezza, di qualificare una piccola parte del dibattito politico, quello che più vicino al profilo dell’innovazione e ad alcuni temi, non solo tecnologici, che permettono di passare dalle parole ai fatti. E non necessariamente nella prospettiva di dare vita a progetti strategici di difficile realizzazione.
Ci sono argomenti che stanno alla base dell’innovazione e che se correttamente seguiti ed applicati potrebbero permettere di dare risposte nuove a problemi che lo stesso dibattito politico non riesce a risolvere. Il tutto in modo accessibile e fattibile. Concretamente, vogliamo chiedere uno sforzo ad alcuni attori del mondo politico di portare l’attenzione su azioni concrete e temi che possono portare risultati, appunto concreti, in tempi ragionevoli. Ma facciamo qualche esempio.
Il 21 novembre 2017 l’Instant Payment è diventato realtà per i 34 paesi europei dell’area SEPA. L’Instant Payment può essere correttamente tradotto in bonifico istantaneo e, in una sintesi estrema, significa poter pagare un debito (un’azienda può pagare un proprio fornitore e un fornitore può vedere il pagamento effettuato) entro 10 secondi. Si passa da un paio di giorni, quando tutto va bene, a 10 secondi. Bene! a fronte di una tecnologia pronta, disponibile e tutto sommato accessibile, il messaggio forte della politica dovrebbe essere molto semplice: usatela! La politica dovrebbe cioè creare le condizioni affinché sia effettivamente diffusa e utilizzata accelerando i tempi che fisiologicamente accompagnano l’adozione di un nuovo paradigma. Questa è una innovazione che può portare benefici tanto alle persone quanto alle imprese, che può permettere di trovare risolvere una serie di problemi legati al credito o, per dirne una, ai tempi di produzione di una impresa che da una parte con la connetted factory vanno nella direzione del real time quando i pagamenti dei fornitori. E dunque spesso la possibilità concreta di mandare materie prime o semilavorati in produzione, è soggetta alla verifica di tempi di pagamento primitivi. Innovazione è anche favorire e incoraggiare l’utilizzo di una innovazione già pronta e disponibile e serve creare una cultura diffusa sul servizio e sulle modalità per poterlo sfruttare. Non è più un compito della “tecnologia” ma è il “mestiere” della politica.
Non è il momento di pensare a una Governance per i Big Data
Potremmo fare un altro esempio parlando dei Big Data. Esortiamo la politica a farsi carico di gestire il passaggio da una lettura dei dati digitali improntata alla tecnologia a una lettura improntata alla cultura del dato, come una delle fonti primarie di conoscenza. Siamo, come nel caso degli Instant Payment, in un terreno già ampiamente coltivato che sta già dando i suoi frutti, ma che spesso non vengono raccolti, apprezzati o usati come dovrebbero. Chiediamo alla politica di smettere di demonizzare o magnificare un fenomeno e di guardarlo con occhi gli laici e oggettivi della realtà. L’abuso nell’utilizzo dei dati e dei Big Data è pericoloso quando manca una Cultura del Dato, diffusa e radicata. Se si costruisce questa cultura si mettono nelle mani di ciascuno le risorse per “poter usare” i dati, ma anche le risorse che a loro volta servono a “non farsi usare” e di conseguenza, per superare pregiudizi e paure portando effettivamente i benefici dell’innovazione digitale in tutti gli spazi del nostro vivere e lavorare quotidiano. Ancora una volta e anche questo non è un compito della tecnologia, ma è un ambito, fondamentale, della politica alla quale si chiede di passare, culturalmente, da una lettura bipolare dell’innovazione digitale tra chi, con spericolate argomentazioni la vede come una panacea, e chi, al contrario, la demonizza come l’ennesima reincarnazione di un “Grande Fratello” o altri simili “mali” e pericoli. Questa situazione danneggia oggi chi fatica a trovare gli strumenti per godere pienamente dell’innovazione digitale e favorisce chi è invece nella condizione di approfittare di una situazione che è de-regolamentata e priva di Governance.
Scelte politiche, formative, per passare dai dati alla conoscenza
Il danno più grave oggi è anche quello meno evidente. Lo svantaggio più pesante lo pagano le imprese che, in assenza di una cultura veramente orientata all’innovazione, si ritrovano a mettere in pista progetti già di per sé estremamente complessi (come quelli dell’Industria 4.0 o Impresa 4.0 o ancora dell’Open Banking) dovendo sostenere un confronto sociale sui rischi dell’innovazione riguardo ai posti di lavoro o ai rischi di un nuova ondata di digital-divide di più alto livello. Questo dibattito dovrebbe invece essere posto, attuato e risolto dalla politica. C’è un tema sociale di straordinaria importanza, che riguarda la creazione di un rapporto nuovo con i Big Data. Se le imprese, le organizzazioni, le stesse Pubbliche Amministrazioni sperimentano progetti che hanno come denominatore comune la “centralità del dato” ecco che la politica è chiamata a prestare attenzione a tutti i segnali che ci possono guidare in questa direzione.
E vediamo sia i segnali forti come quello che ci mostra la Data Science come una merce rara, che viene richiesta con sempre maggiore intensità dalle aziende più illuminate e più attente all’innovazione, e che trovano figure dotata di queste competenze con sempre maggior fatica.
Ma ci sono anche segnali meno forti, più confusi, ma altrettanto importanti come ad esempio quelli legati alle esperienze di imprese e organizzazioni che stanno dimostrando concretamente che la tanto discussa Data Monetization può portare vantaggi importanti anche a livello di produzione di conoscenza (ad esempio a beneficio della sicurezza sul lavoro, della qualità dei prodotti, della semplificazione nella erogazione dei servizi pubblici e tanto tanto altro ancora).
Una Cultura del Dato per Lavoro e Sicurezza
Data Scientist (leggi Come si diventa Data Scientist) e Data Monetization sono temi che, con un po’ di traduzione a livello lessicale, possono aiutare la politica ad agganciare due dei temi centrali della campagna elettorale come Lavoro e Sicurezza con due ambiti dell’innovazione digitale che sono nella condizione di contribuire efficacemente a portare risposte nuove.
La politica deve farsi carico di indirizzare piani di formazione per portare sul mercato del lavoro quelle figure professionali che sono i vettori per la creazione e la diffusione della cultura del dato. Ed è la politica che può mettere mano al tema della monetizzazione dei dati. I dati servono perché, per gestire società ed economie sempre più complesse, serve conoscenza. Servono figure preparate per fare scienza dei dati nel rispetto delle regole e che sappiano gestire questo percorso senza creare nuove forme di digital divide, ma che siano anche in grado di stabilire – culturalmente – delle nuove regole nel rispetto dei diritti di ciascuna persona e di ciascuna impresa di poter disporre di questo valore di conoscenza.
Accelerare Industria 4.0 e Impresa 4.0
Un altro grande tema è quello assai ben noto della spinta alla digitalizzazione delle imprese nella logica Industry 4.0 prima e Impresa 4.0 poi. Le nostre testate hanno seguito da vicino questo fenomeno e lo hanno raccontato in tutte le sue dimensioni: nei numeri del Piano Industria 4.0, nelle esperienze e case history delle imprese, nelle opinioni degli osservatori e degli analisti, nella realtà operativa delle figure aziendali coinvolte a vari livelli e in varie forme.
Questo è un tema sul quale verrebbe da porre alla politica l’invito a continuare così. Serve insistere e ovviamente ad accelerare, ma su un percorso che ha saputo unire visione e pragmatismo e che sta dimostrando concretamente che le cose si possono fare, che possono fare bene all’economia, ai territori, allo sviluppo delle competenze e della competitività.
Blockchain, DLT, decentralizzazione sicura
L’ultimo tema, sicuramente molto più complesso, sul quale vorremmo estendere questo invito ai politici affinché entri nel dibattito sull’innovazione della campagna elettorale è la Blockchain. Non ovviamente nella sua dimensione tecnologica o “monetica” e di cryptocurrency. Se ci pensiamo bene il “cuore” della Blockchain, la logica “distribuita” basata sul concetto di fiducia reciproca, è un paradigma politico prima ancora che tecnologico. La tecnologia ha poi permesso di realizzarlo e di creare progetti che possono fornire garanzie prima impraticabili. Anche questo, ancora una volta, è un forte tema culturale. La Blockchain permette di gestire in modo completamente nuovo tantissime attività e processi: la contrattualistica, la notarizzazione, la rappresentatività con l’e-voting, la certificazione, oltre a tantissimi altri altri ambiti che possono essere completamente rivisti grazie alle DLT – Distributed Ledger Technology. In tantissimi casi, siamo ancora lontani rispetto a paesi che hanno scelto di affrontare a livello politico la Blockchain per sfruttarne le straordinarie potenzialità mettendo anche in conto che per arrivare ad avere infrastrutture, soluzioni e applicazioni sicure serve passare attraverso diverse fasi di test e di sperimentazione. Ancora una volta sarebbe una scelta politica, quella di valutare le opportunità per l’innovazione del sistema paese creando competenze sul piano della Blockchain, avvicinando imprese, organizzazioni e istituzioni a questo paradigma e favorendo una cultura progettuale che guardi alla Blockchain senza pregiudizi e con il supporto di logiche di governance che la rendano accessibile e non “elitaria” in ragione della sensibilità e della competenza di coloro che la sperimentano e la adottano.
In conclusione. E’ forse una forzatura pensare di portare temi ancora troppo tecnologici come possono essere Blockchain, Big Data, Internet of Things nella campagna elettorale. Non è invece una forzatura e non è prematuro che i programmi dei partiti e che la campagne elettorale si ponga l’obiettivo di sfruttare meglio e adeguatamente questi fenomeni perché il dibattito sull’innovazione possa creare le condizioni per realizzare e attuare quei progetti di innovazione che possono davvero incidere sulla competitività delle imprese e sulla qualità della vita dei cittadini.
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