Big data e Analytics, crescono le opportunità per il mondo banking

Dare vita a una vera banca omnicanale significa mettere a frutto le informazioni generate dalle interazioni con i clienti per costruire una customer experience efficace e unificata, a prescindere dai punti di contatto. A tutto vantaggio anche della sicurezza e dell’efficienza dei processi interni. Ecco l’approccio di Auriga

Pubblicato il 03 Mag 2018

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Vincenzo Fiore, CEO di Auriga

Multicanalità, engagement, user experience, rischio di disintermediazione da parte di nuovi attori, regole sulla data protection sempre più stringenti. Sono i principali elementi che compongono lo scenario competitivo in cui sono chiamate oggi ad agire le banche. Per affrontare tutte queste sfide esiste un unico approccio. Unico, ma tutt’altro che univoco: quello che fa leva su Big Data e Analytics. Parliamo primariamente di approccio e non solo di strumenti perché in particolare in una industry complessa come quella del Banking (e del Finance in generale) per rendere più efficienti i processi e maturare decisioni di business basate sui fatti e su una reale capacità previsionale non è sufficiente predisporre tecnologie digitali all’avanguardia e piattaforme analitiche capaci di indirizzare, elaborare e comprendere i flussi informativi. Intendiamoci, i predictive analytics sono strumenti formidabili, indispensabili. Ma accorre prima di tutto maturare la consapevolezza che rispetto alle funzioni e all’organizzazione, le stesse persone devono essere disposte a sviluppare un nuovo rapporto con le proprie attività, con i partner, con i fornitori e naturalmente con i clienti, che con le loro esigenze diventano il fulcro dell’intero ciclo relazionale. Specialmente in un mercato come quello italiano, dove – ancora – rispetto ad altri contesti europei la banca è davvero multicanale: secondo uno studio condotto da Bem Research, solo il 31% (in crescita rispetto al 29% del 2016) della popolazione nazionale effettua pagamenti, bonifici o consultazioni on line, mentre il dato medio del Vecchio continente si attesta sul 52% con punte prossime al 90% nei Paesi scandinavi. Ma la situazione è destinata a cambiare ovunque, e più che di e-banking e digital banking si parlerà di open banking, anche nella Penisola, con l’ibridazione spinta delle varie piattaforme di accesso all’offerta finanziaria.

Non a caso la parola d’ordine è customer journey, ovvero un’esperienza unificata – a prescindere dai punti di contatto o dai canali – e vista sia dal lato cliente sia dal lato aziendale, un’esperienza attraverso la quale si sviluppano azioni e interazioni che portano reciproco vantaggio. Generando valore non solo per chi si trova alle estremità della transazione, ma per tutti gli anelli della catena su cui questa si muove, dal momento in cui comincia una ricerca di informazioni su un servizio o un prodotto fino a quando, siglato un contratto, si attivano e affinano le attività di retention e post vendita.

Rendere il carburante dell’approccio data-driven fruibile a tutti i livelli

Per avviare il circolo virtuoso appena descritto, occorrono i dati. E i dati per fortuna ci sono già, e in abbondanza. Addirittura in eccesso, per cui occorre scremarli. Parliamo delle informazioni che ogni istituto custodisce nei propri database, nei registri delle operazioni effettuate nel corso degli anni, nelle anagrafiche, nei report, in tutti i bacini che raccolgono le informazioni provenienti dai vari canali, dagli sportelli tradizionali all’Internet e al Mobile banking, passando per ATM, ASD/ASSD (Assisted Self-service Device), circuiti di credito e piattaforme di e-commerce. A questi si possono aggiungere tutti i dati che continuano a formarsi non solo attraverso le nuove interazioni tra banche e clienti, ma pure sui social network, sui siti Web e in tutte le stanze digitali in cui i clienti esprimono preferenze e comportamenti, anche non direttamente riferiti alle tematiche del credito e della finanza. La difficoltà oggi sta nel rendere questo patrimonio di conoscenza chiaro ma soprattutto comprensibile e utilizzabile in modo strategico a tutti i livelli dell’organizzazione, funzione per funzione, in modo da stimolare le giuste call to action e razionalizzare, contemporaneamente, l’esecuzione di ciascuna iniziativa di go-to-market, post sales e retention. Riuscire a rispondere in fretta a questa sfida significa non solo ottenere sensibili risparmi in termini di tempo, impegno e risorse, ma anche, tramite i predictive analytics, intercettare meglio le esigenze dei consumatori, sia per valorizzare gli attuali (e i futuri) asset dell’organizzazione, sia per guadagnare (o non perdere) vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. Vale infatti la pena ricordare il dinamismo degli analytics nel banking e nei financial services in Italia: secondo i dati dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2017 il mercato tricolore ha raggiunto 1.103 miliardi di euro, in crescita del 22% rispetto al 2016 (l’anno scorso era cresciuto del 15%) e il principale contributore è proprio il settore bancario con un peso del 28%, seguito a ruota da Manifatturiero (al 24%, non dimenticando che si tratta di un risultato frutto anche degli incentivi del piano Industria 4.0) e Telco e Media (14%). Giocare la partita degli analytics non è più, quindi, muoversi d’anticipo, ma scattare più in fretta di chi è già partito.

Come l’analisi dei big data migliora i processi interni e l’offerta del mondo banking

Oggi un cliente, quando entra in filiale, ambisce principalmente a tre cose: essere riconosciuto, ottenere ciò di cui ha bisogno e farlo nel minor tempo possibile e senza code. Sistemi di Big data e analytics applicati al banking permettono di offrire proprio questo, grazie a una visuale completa sul rapporto tra azienda e cliente e indipendentemente dall’interfaccia che quets’ultimo sceglie di usare. Con in più la capacità di prevedere flussi ed esigenze specifiche. Analizzando per esempio lo storico delle transazioni e delle interazioni, e rilevando variazioni significative sulla spesa o sugli introiti, i sistemi di nuova generazione possono elaborare degli alert che notificano ai consulenti nuove opportunità, specialmente rispetto ai servizi ancillari che sempre più caratterizzano il settore del credito: l’apertura di un conto per una lista nozze o l’accensione di un mutuo, correlate ad altre voci opportunamente categorizzate, segnalano il potenziale interesse all’attivazione di un piano di risparmio o alla creazione di una polizza sulla casa. Convenzionata con la banca, perché no? In questo modo si risparmia tempo, denaro, complessità e anche il cliente ha ogni cosa sotto mano. Ma soprattutto può apprezzare l’iniziativa della banca che anticipa un’esigenza, evitandogli l’impegno – e spesso il fastidio – di una ricerca per identificare il prodotto giusto. D’altra parte, indicatori diversi riescono a evidenziare allentamenti nella relazione con la banca, e sempre analizzando precedenti condotte, a proporre ai consulenti azioni di retention specifiche per ciascun cliente.

Ma i big data analytics avranno un ruolo sempre più importante anche rispetto al tema del risk management: scandagliando in tempo reale operazioni anomale, i sistemi comunicano agli operatori, che possono verificare e intervenire tempestivamente, potenziali tentativi di frode che con un approccio tradizionale sarebbero stati scoperti solo a distanza di mesi, a danno fatto. È la combinazione di tutti questi elementi ciò che crea, sostanzialmente, la banca omnicanale, dal momento che si considerano come fonti di dati tutti i touch point di relazione con il cliente: ATM, ASD/ASSD, chioschi, internet banking, mobile banking). Un’organizzazione in grado cioè di servire le esigenze dei clienti ottimizzando al tempo stesso i processi interni, grazie all’uso intelligente dei dati, facendo in modo che i collaboratori e i consulenti siano in grado di armonizzare operazioni e iniziative in base a obiettivi comuni fissati attraverso l’analisi dei dati e la comprensione dello scenario. La sfida non è semplice, è qualcosa che va oltre il concetto già complesso di digitalizzazione. E passare dalle parole ai fatti richiede uno sforzo non da poco. Sul mercato italiano le banche in questo senso possono contare su sviluppatori, operatori e consulenti specializzati, capaci di affiancarle non solo nella transizione tecnologica, ma anche e soprattutto nel cambio di paradigma culturale imposto, dalla necessità di maturare una visione a 360 gradi del business. Auriga ha questo obiettivo e, per aiutare gli istituti finanziari a sfruttare appieno il valore della mole di dati e di informazioni che oggi hanno al loro interno, ha realizzato il modulo applicativo WWS Business Analytics Management (WWS BAM). Una soluzione che a differenza delle principali applicazioni di analytics, prevalentemente dedicate a una singola area di business, offre un’ampia panoramica dei fenomeni legati alle attività bancarie, in ottica “cross overview”. WWS BAM permette di estrarre, raccogliere, elaborare e rendere fruibili i dati provenienti da tutti i canali utilizzati dai clienti della banca, per scoprirne le combinazioni e, sulla base di queste, identificare trend o segmentazioni utili a definire le strategie di mercato. Tutti i dati analitici disseminati nel sistema informativo della banca vengono raccolti, elaborati e rappresentati graficamente e in modo immediato. Il tutto con un unico scopo, anzi due: abbattere i costi operativi e conoscere a fondo le scelte del cliente, permettendo così alle banche di definire la migliore strategia di crescita sul mercato.

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