IBM Think – Automazione di processo: innovare partendo dai dati

Una tavola rotonda per parlare di automazione di processo. E’ successo a Think Milano. Per IBM una necessità, soprattutto per processi ripetitivi e ad alto livello di errore. Le case history di Borsa Italiana e Gruppo Creval

Pubblicato il 18 Giu 2018

tavola rotonda think

In un mondo che sempre più frequentemente fa riferimento alla trasformazione verso l’impresa 4.0, all’utilizzo dei dati in logica predittiva oltre che prescrittiva e a sempre maggiori livelli di automazione, la domanda su quale spazio debbano e possano avere la robotica e l’intelligenza artificiale non solo nella trasformazione di un singolo task ma nella revisione dei processi è inevitabile.

E proprio di questo tema si è trattato nei giorni scorsi a Milano, in occasione di Think, l’evento organizzato da IBM Italia per portare i temi dell’innovazione al centro dell’attenzione di imprese, pubblica amministrazione e cittadini, nel corso di una tavola rotonda dal titolo “Robotica e Intelligenza Artificiale, un nuovo binomio per l’automazione dei processi”, moderata da Mauro Bellini, direttore di BigData4Innovation.
Obiettivo dell’incontro era comprendere come le aziende stanno adottando metodologie di machine learning, automazione di processi e “robotica”, elaborazione del linguaggio naturale e analisi per espandere le capacità e l’efficacia di ‘knowledge worker’ in tutti i settori.

A che punto è l’Intelligenza Artificiale?

In apertura, tuttavia, la premessa necessaria di Maurizio Ragusa, Software Sales Director di Ibm Italia: “Bisogna fare giustizia sull’immaginario e sugli aspetti fantascientifici legati all’Intelligenza Artificiale. Soprattutto bisogna tener ben presente che Intelligenza Artificiale, Machine Learning, Deep Learning, anche se spesso usati senza particolare distinzione, in realtà indicano concetti molto diversi tra loro”.

E per quanto siamo in presenza di un MegaTrend, destinato a imporsi in modo importante nei prossimi anni, non possiamo non tener conto dei limiti attuali che ancora impediscono una adozione su larga scala dei sistemi e delle soluzioni di Intelligenza Artificiale.
Ragusa li riassume in questo schema:

Interessante notare che la difficoltà a identificare il business case è in fondo alla graduatoria, mentre al primo posto spiccano le difficoltà legate ai costi e alla sicurezza. In sintesi estrema: quelle più facilmente superabili, tanto più si riuscirà ad affermare un processo di democratizzazione dell’Intelligenza Artificiale, rendendone possibile l’accesso anche alle realtà di più piccole dimensioni e con minori disponibilità di spesa.

È comunque un percorso iniziato e non è prevista l’ipotesi di fare marcia indietro.

Serve, semmai, affinare la metodologia. E in questo da Ragusa arriva un vero e proprio elogio dei Proof of Concept: “Nello sviluppo di progetti di Intelligenza Artificiale servono per settare gli obiettivi e verificare la fattibilità, per poi passare alla fase di realizzazione vera e propria”.

Il ritardo del Sistema Paese, la visione di IBM

In questo caso, come spesso accade quando si parla di innovazione e tecnologia, c’è un ritardo del Sistema Paese tanto più evidente tanto più altri Paesi nell’Unione Europea stanno stanziando fondi destinati all’Intelligenza Artificiale.
Inevitabile la call to action al Governo perché si muova nella medesima direzione.

E IBM cosa fa?
“IBM – spiega Ragusa – ha identificato 16 use case, ripartiti in tre orizzonti applicativi: trasformazione dell’ingaggio sul cliente, miglioramento delle operation, potenziamento dei dipendenti”.

Perché serve l’automazione di processo

È Maria Cristina Ferri, Cognitive Process Rengineering Service Line Leader di IBM che stringe il focus sull’automazione di processo, partendo da una domanda chiara: “C’è davvero bisogno della Robotic Process Automation”?

Risposta altrettanto chiara: “Si, perché è così che è possibile spostare l’attenzione verso le attività a maggiore valore aggiunto”.

Ferri parla di benefici in termini di tempi e costi, che vengono finalmente distolti da attività ripetitive e a basso valore. Che non sono poche: “Quattro processi strutturati su 5 possono essere automatizzati”.
Ma non si ferma a queste considerazioni. Perché alle riduzioni di costi e tempi, si aggiungerebbero altri benefici operativi: più flessibilità, più scalabilità e, soprattutto, meno errori.

Ma non basta: Ferri sottolinea come in base alla tipologia dei dati utilizzati si possano distinguere diversi stadi di automazione di processo. “L’evoluzione massima arriva quando si parla di cognitive automation, con l’innesto dell’intelligenza artificiale”

Quale automazione per quali processi

Ma quali sono i processi che meglio di altri si candidano all’automazione?
“In genere si fa riferimento a processi ripetitivi, che coinvolgono un elevato numero di persone, standardizzati e ben strutturati. Sono candidabili processi che hanno alti livelli di difettosità, che mostrano fluttuazioni nei volumi, ad esempio in base alla stagionalità e, soprattutto, sono alimentati da sistemi di dati”, è la risposta di Ferri.

L’automazione di processo, però, non si improvvisa.
“Non si può fare automazione senza analizzare e rappresentare: serve un percorso graduale per essere davvero consapevoli dei vantaggi e dei benefici che ne derivano”.
E alla fine la risposta si chiama CoE, vale a dire Center of Excellence, una entità organizzativa o funzionale in grado di governare e controllare il programma di robotica aziendale, vale a dire i processi che vengono automatizzati.

Le case history: Borsa Italiana e Gruppo Creval

Ma si può già parlare di casi concreti?
Nel corso della tavola rotonda interviene Paolo Caniccio, CTO di Borsa Italiana, il quale introduce un progetto, in capo a Monte Titoli, nel quale Data Science, Data Anlytics, Big Data e Cognitive hanno un ruolo importante.
In questa case history si stanno rivedendo, in logica di automazione, i processi di backoffice per accelerare l’acquisizione dei dati, la verifica e l’attuazione dei principali passaggi.

Anche da Caniccio arriva un elogio dei Proof of Concept, che aiutano a identificare eventuali criticità e che aiutano a non far percepire il cambiamento come qualcosa di sostanzialmente calato dall’alto.

La grande sfida?
La qualità del dato. È importante che le aziende e le persone imparino a conoscere i propri dati”.

Anche Matteo Pizzicoli, Direttore Innovazione e Organizzazione di Creval Sistemi e Servizi, porta a testimonianza un caso d’uso concreto: Ambrogio, vale a dire un assistente virtuale, anzi, un consulente virtuale powered by Watsonche supporta in modo mirato ed efficace i colleghi di sportello nella loro operatività e interazione con i clienti.

“In genere le aziende hanno già l’eccellenza su un 25 per cento dei loro processi. La vera sfida oggi è far arrivare all’eccellenza proprio i processi non ottimali”.

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